Il Museo della Città, inaugurato il 16 maggio 1999, è ospitato presso l'antica Torre di S. Agnese e nel piccolo edificio attiguo.
La torre è una tra le strutture più antiche della Portogruaro medievale acquistata dall'Amministrazione comunale nel 1987 e sottoposta, negli anni seguenti, ad un accurato restauro per garantirne la completa fruibilità. È visitabile grazie alla cura e alla collaborazione della Pro Loco Portogruaro. Immagine L'edificio, risalente al secolo XIII, è una delle tre torri superstiti a Portogruaro. In epoca medievale la città era protetta da una cinta muraria, demo lita definitivamente nel 1911, caratterizzata da cinque porte che permettevano l'accesso alla città (Sant'Agnese, San Giovanni, San Gottardo, San Nicolò - demolita nel 1886 - e un'ultima torre risultava posizionata sulla via che conduceva a Summaga). Il patrimonio storico e artistico conservato nel museo cittadino proviene principalmente dalle raccolte non archeologiche del Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro (Via Seminario, 26). All'ingresso, si viene accolti da rappresentazioni e gigantografie della Portogruaro del XV e XVI secolo, dei Molini e del Palazzo Municipale. IMMAGINE Cortile esterno Inoltre, sono raccolte, sempre a pian terreno, una serie di pubblicazioni a cura di diverse associa zioni culturali che hanno ricostruito, nel tempo, la storia della Città. All'interno del Museo, si possono ammirare, suddivisi in sezioni e nuclei cronologicamente omogenei, opere in pietra (pàtere, stemmi, statue, epigrafi e lapidi sepolcrali), in metallo (armi, uten sili, sigilli e medaglie) e alcuni esemplari in vetro e ceramica per lo più databili al XVIII secolo.
Gli stemmi nobiliari in pietra rappresentano uno dei nuclei più consistenti tra i materiali esposti, per un totale di 15 esemplari sistemati, per la maggior parte, sulle pareti esterne del Museo rivolte verso il piccolo cortile.
In origine erano tutti sicuramente collocati sulle facciate degli edifici di residenza, o comunque di proprietà, delle famiglie che rappresentano; alcuni di essi conservano sul retro l'anello di ferro attraverso il quale veni- vano infilati ad un supporto, anch'esso metallico, che sporgeva dalla parete alla quale erano destinati. È praticamente impossibile individuare gli edifici di prove nienza, mentre risulta più agevole l'attribuzione alle relative famiglie grazie ad una serie di disegni, realizzati quasi certamente nel secolo XX, che riproducono gli stemmi, completandoli spesso con il nome della famiglia. Tra tutti gli esemplari si segnalano i più rilevanti. - Lo stemma attribuito ai Della Gatta, a forma di scudo bipartito orizzontalmente, raffigura al centro un gatto accovacciato con un topo in bocca. La metà inferiore dello scudo è caratterizzata da bande verticali, mentre lungo la fascia esterna compare una decorazione a motivi vegetali.
Lo stemma dei Della Torre o Torrianisu lastra rettangolare, è costituita da uno scudo centrale inscritto in una circonferenza raffigurante una torre merlata posta su Tre Gradini con due rami fioriti intrecciati che emergono dal retro.
Suggestivo è lo stemma ovale che raffigura un alberello...
piegato sotto una raffica di vento proveniente da una nuvola con le sembianze di un putto soffiante. Resta da individuare la famiglia di appartenenza
Stemmi delle famiglie VENIER e CORNER
Alcune iscrizioni incise su pietra, in parte visibili nel cortile del Museo, in parte all'interno, documentano particolari eventi che hanno interessato la città di Portogruaro in epoche diverse.
COLONNA QUADRANGOLARE
Una colonna quadrangolare riporta l’iscrizione, accompagnata dalla data 1576, che ricorda il nome di Raunaldi, architetto e lapicida della chiesa di S. Lazzaro demolita per costruire il Duomo di Portogruaro. L'edificio, ricostruito nel XVI secolo dai Cappuccini, era legato all'antico ospizio per lebbrosi di S. Lazzaro, fondato nei primi anni del Duecento e situato fuori dalle mura cittadine, nella zona dell'attuale via Zappetti, non molto lontano dalla porta di S. Giovanni, già detta "porta del Bando" e "porta di S. Lazzaro".
La lapide, lacunosa nella parte superiore, ricorda Zaccaria, figlio di Samuel Leone, morto nel 1660.
Descrizione
Nell'iscrizione si paragona l'esistenza umana ad un'ombra fugace inseguita dalla morte fin dai primi anni di vita, aggiungendo che all'uomo non sarebbe riservato altro che il pianto se non vi fosse la certezza di trovare un luogo di sollievo al momento del trapasso. Nella parte alta della lapide compare uno stemma.
Trascrizione:
Lapide (segnante) il tumulo di Zaccaria,
figlio di Samuel Leone, (morto nel) 29 Tisrì 5420 (1660)
L'uomo (ha) gli anni (di sua vita) quale ombra fugace.
S'attacca a lui la morte dal tempo in cui vede la luce
Pianto (all'uomo si addirebbe)
se la di lui consolazione (non fosse nel sapere che vi è) luogo destinato a sollievo, nel dì della morte -
(Ivi) il merito della mia giustizia parlerà in mio favore;
mi sarà interprete nel giorno del mio trapasso,
e quando a giudizio sarò chiamato,
esclamerò: «Dio è meco» e non avrò a temere.
- Questa lapide, come la precedente al n. 6, è incompleta in alto, appartiene a Giuseppe di Cormons, morto nel 1601 e forse trasportato nel cimitero di Portogruaro da quella località.
È documentato, infatti, in altri contesti, l'utilizzo del cimitero per la sepoltura di ebrei provenienti anche da altre comunità del Friuli. in particolare da S. Vito al Tagliamento. A Portogruaro i membri della comunità ebraica svolgevano attività commerciali e detenevano il Banco de Pegni, voluto dal Consiglio Cittadino nel 1575 fino all istituzione del Monte di Pietà risalente al 1666.
Trascrizione:
Anima e spirito depose Giuseppe
(che la memoria del giusto sia benedetta)
Di Cormons era oriundo -
Ai tredici di Teved 5361 (1601),
ritornò alla sua terra (morì),
pronto (a rimettersi) nelle mani di Dio,
(conscio) dell'integrità di lui (dell'Eterno).
Le patere esposte al primo piano sono medaglioni circolari in pietra, con scolpiti soggetti prevalentemente zoomorfi, che venivano infissi a scopo decorativo sulle facciate di edifici civili e religiosi e la cui produzione caratterizza l'area dell'alto Adriatico tra X e XIII secolo.
Il Museo ne possiede 10 esemplari databili al XII-XIII secolo, quasi tutti in marmo, dal diametro oscillante tra i 25 e i 33 cm. e dallo spessore medio di 8 cm. Relativamente alla decorazione scolpita, va ricordato il ripetersi, in tre esemplari, di uno dei soggetti più dif fusi rappresentato dall'aquila che ghermisce una lepre o un rettile, motivo facilmente interpretabile come la lotta vittoriosa del bene, simboleggiato dall'aquila, sul male, simboleggiato dalla lepre o dal rettile.
La patera nell'immagine è in pietra calcarea e raffigura un serpente dal corpo squamoso avvolto su se stesso si caratterizza per l'inconsueto soggetto rappre sentato, generalmente interpretato come simbolo del male e del peccato, ma anche apprezzato per la capacità di purificarsi e rinnovarsi attraverso la muta della pelle.
- Il soggetto più diffuso costituito dall'aquila, simbolo del bene, che cattura il male rappresentato dalla lepre, è raffigurato con grande espressività nella patera a fondo leggermente concavo, ...
nella quale è ben evidente anche la cura per i particolari anatomici degli animali. Oltre alle patere in pietra, in Museo è presente una collezione di 13 parere in terracotta di forma quadrangolare sagomata, con soggetti diversi nella parte centralee piccoli motivi vegetali o animali sulla cornice esterna.
Questa patera raffigura un soggetto che si ripete identico in altri 6 esemplari, Si tratta di una sirena seduta sull'acqua con due code rivolte verso l'alto, generalmente interpretata come simbolo della lussuria.
Esposti al primo piano, questo nucleo di materiali, non è molto consistente ed è costituito esclusivamente da esemplari lapidei, fatta eccezione per una statua in legno dipinto. I personaggi ritratti sono per lo più santi, originariamente collocati nelle chiese cittadine, ma non mancano esempi di figure femminili.
Inconfondibile l'immagine di San Pietro nella statua, originariamente murata e ora spezzata in due, in cui il santo è ritratto con una folta barba ondulata, una lunga veste panneggiata, le chiavi nella mano destra e il rotolo delle lettere nella sinistra.
Di soggetto profano è il busto in calcare raffigurante un volto misterioso, con una lunga barba e il capo coperto da un mantello che circonda anche le spalle.
La statua in pietra arenaria, priva della sommità del capo, ritrae santo in abiti vescovili, forse S. Biagio; la lacuna sul capo lascia emergere un perno ligneo che sosteneva probabilmente la mitra, tipico copricapo vescovile. Il santo, dal volto barbuto, ha le braccia aperte e tronche e la gamba destra legger- mente piegata; alla lunga veste rimborsata in vita, si sovrappone un mantello allacciato sul petto.
Al secondo piano è visibile la raccolta di armi bianche che comprende soprattutto esemplari di epoca medievale e rinascimentale, ai quali si aggiungono oggetti più tardi.
L'introduzione delle spade e delle lancie lunghe, in uso alle popolazioni cosiddette "barbariche", oltre che delle armi su asta, ha segnato il passaggio dalla tarda antichità al Medioevo, caratterizzando tutto l'arco cronologico che arriva fino al XV secolo.
Nel nostro territorio, armi simili erano sicuramente utilizzate nella difesa dei numerosi castelli vescovili investiti a famiglie nobili (Portogruaro, Fratta, Fossalta, Gruaro, Cordovado, ...).
Per quanto riguarda invece, la difesa delle comunità rurali, spesso racchiuse da cortine o cente, significative testimonianze sono state scoperte nel 1989 durante lo scavo della scomparsa pieve di San Martino in località Centa di Giussago, alla periferia sud di Portogruaro, dove si sono rinvenute armi medievali in ferro di semplice fattura come lame di coltello, punte di freccia ed asce, usate all'occorrenza dalla popolazione rurale insieme agli attrezzi da lavoro come forche, zappe, falci.
(Fig. 23) Di epoca rinascimentale sono i due pugnali in ferro con lama triangolare appuntita a doppio taglio, spesso considerati arma insidiosa alla pari dello stiletto e per questo proibiti. Uno dei due presenta un pomello all'estremità dell'impugnatura e una guardia leggermente ricurva terminante con una sorta di motivo vegetale; l'altro si caratterizza per l'anello aperto laterale all'altezza dell'impugnatura.
A partire dal Cinquecento, con il diffondersi delle armi da fuoco, spade, lance e alabarde si sono evolute in spade più sottili, spadini e daghe da caccia riservate ai gentiluomini;
il popolo, invece, utilizzava armi più semplici, quali spiedi, pugnali, stiletti, talvolta prota- gonisti dei comuni delitti.
- Altri due pugnali in ferro (fig. 24) sono completi di fodero. Il primo, con la lama fortemente ossidata, ha un fodero in legno rivestito di caoio con due passanti laterali e un'impugnatura costituita da due sbarrette rettangolari in avorio decorate ad occhio di dado. Il secondo presenta un'impugnatura conica in osso con applicazioni in ferro all'estremità e un fodero in legno. rivestito di cuoio con applicazioni metalliche, provvi sto, nella parte alta, dell'attacco per appendere l'arma.
Tipico esempio di arma lunga medievale è la spada a doppio taglio, priva dell impugnatura e risalente al XIII secolo, che deriva dalla spatha longobarda.
Era sicuramente in dotazione alle milizie del vescovo di Concordia che facevano parte dell'esercito del patriarca d'Aquileia, spesso impegnato nei conflitti locali a difendere le giurisdizioni vescovili dalle incursioni dei signori più potenti e agguerriti. Al XVIII secolo risale la spada con lama diritta e sottile a doppio taglio all'estremità; la punta è arrotondata e l'impugnatura realizzata in maglia di ferro verso l'interno, è protetta da un'elsa ricurva con largo anello sottostante che ne congiunge le estremità. Si tratta di un'arma con funzione ornamentale e da parata.
(fig. 25)Preziosa è la sciabola del XVII- XVIII secolo, a lama piatta e appuntita, leggermente curva. Ha un'impugnatura in avorio con inserzioni in ottone e una ridottissima guardia in ottone con incisi motivi floreali. anche sulla parte alta della lama si notano incisioni decorative difficilmente interpretabili. IL fodero in pelle presenta un rivestimento in lamina d'ottone sulla punta e all'estremità superiore dove compare una decorazione incisa a motivi floreali. non manca l'anello per appendere l'arma alla cintola. La sciabola deriva dalla scimitarra turca e si diffonde in Europa con le invasioni ottomàne del XVI secolo; nel secolo successivo diviene la principale arma bianca della cavalleria leggera. Questo esemplare è noto anche con il termine dialettale veneto di paloscio.
Gli oggetti in ceramica verniciata e decorata da motivi geometrici o figurativi sono presenti in numero piuttosto contenuto e risalgono per lo più al XVIII secolo; sono visibili al primo piano.
La piccola alzata, con motivi geometrici e floreali disposti a fasce circolari sullo stele e alla base, ha una coppa dal modellato leggermente ondulato. L'interno della coppa, dipinto in azzurro, presenta tutt'intorno elementi vegetali stilizzati a rilievo dipinti in giallo, mentre sul fondo compare una graziosa scena campestre con due bambini.
Il cestello con manico (scheda 18, fig. 30) è l'esemplare ceramico più raffinato ed è caratterizzato da trafori a motivi vegetali e da decorazioni a rilievo ...
riproducenti la figura del fabbro che sta realizzando la freccia per la dea Venere: cespi vegetali e volti mitologici completano la decorazione, perduta in corrispondenza di un'ampia lacuna del manufatto. Il manico del cestello e l'interno sono dipinti in bianco, mentre la parte esterna alterna bianco, blu, rosso cupo e verde.
- Il bicchiere dipinto (schoda 301, fig. 33) rappresenta alcune scene, complete di iscrizioni, che ricordano la fine della Repubblica di Venezia nel 1797 a seguito del Trattato di Campoformido, il passaggio alla dominazione austriaca, la breve parentesi del Regno d'Italia con il ritorno di Napoleone e il ritorno al dominio asburgico nel 1814.
- Un piccolo nucleo di materiali è costituito da utensili in metallo di uso soprattutto artigianale. Sia pure nella difficoltà di fornire una datazione attendibile, si può ragionevolmente ritenere che la maggior parte di essi si collochi a cavallo tra l'epoca medievale e rinascimentale.
Tenaglia dentata a molla (scheda 288), con piccoli denti all'interno delle ganasce e un fermo per la chiusura dei bracci.
Al secondo piano, ci sono molti sigilli che appartengono a vescovi, patriarchi e dogi, insieme a medaglie commemorative. Questi sigilli includono quelli in metallo usati per timbrare documenti, principalmente appartenenti ai vescovi di Concordia dei secoli XVIII e XIX.
Ci sono anche impronte di sigilli su ceralacca, piombo e gesso, le più antiche risalenti al XIV secolo, alcune delle quali conservano ancora la corda con cui erano legate ai documenti corrispondenti. Risalgono al XVII secolo i pochi esemplari di sigilli impressi in piombo appartenenti ad alcuni dogi veneziani. Sul dritto riportano sempre lo stesso motivo, ovvero l'immagine del doge, con accanto la parola Dux, in atto di inginocchiarsi davanti a S. Marco, con la mitra vescovile in capo, che regge uno stendardo: talvolta il capo del santo è circondato da una corona di stelle e al suo fianco ne compare il nome, S. Marcus. Sul retro i sigilli riportano l'iscrizione, a volte circondata da una semplice cornice, con il nome del doge seguito dall'espressione: DEI GRATIA DUX VENETIARUM, tradotto: doge dei Veneziani per grazia di Dio; i tre esemplari segnalati appartengono a Nicola Sagredo, Cristoforo Mauro e Domenico Contarini.
Coniazione della moneta ANTONIO II (1402-1411) Soldo o denaro Materiale: argento Diametro mm. 17-19; peso medio g. 0.64
Diritto: ANTONIUS * PATRIARCA stemma del patriarca consistente in uno scudo spaccato inegualmente, nella parte superiore del quale vi è una banda spaccata a tre file e nella parte inferiore una stella a 7 raggi. Cerchio perlinato. Rovescio:*AQV*ILE*GEN*SIS aquila spiegata con capo a sinistra e coda gigliata, interrompe con il capo il cerchio perlinato. Fino al 1410 questa moneta ebbe corso per 12 piccoli e si chiamò soldo, circolando in tutto il territorio della Serenissima e quindi anche a Portogruaro. La moneta è stata imitata da parte di Nicolò Ujlak re di Bosnia (1471-1477).
Medaglia in bronzo raffigurante la basilica di S. Marco in occasione dell'ottavo centenario della sua costruzione (1894)
Alcuni sigilli impressi in piombo appartengono, invece, a papi del Sette-Ottocento. Riportano sempre sul dritto i volti di S. Pietro e di S. Paolo, posti uno di fronte all'altro ...
ai lati di una croce centrale, sopra la quale si ripete due volte l'accoppiata di lettere S P, evidente abbreviazione dei nomi dei due santi. Sul retro, talvolta arricchito da una cornice lungo il bordo, compare il nome del papa: nei due esemplari segnalati si tratta di Clemente XIII e di Leone XII.
La raccolta di antichi manoscritti e pubblicazioni a stampa costituisce una sezione molto ricca, allestita al secondo piano. Essa comprende documenti legati a particolari aspetti della storia cittadina,
opere di autori locali o su personaggi del luogo, oltre ad opere più generali prive di riferimenti diretti alla città o al territorio ma comunque di grande pregio. Si segnalano alcuni esemplari di particolare rilievo. Una parte di codice manoscritto su pergamena (fig. 42), precisamente le carte XII e XIII, di ignota provenienza, contiene un testo dei salmi e le note di gregoriano sulle quali il salmo andava intonato, Tutte le iniziali del testo sono state realizzate usando, alternativamente, l'inchiostro rosso e blu; in base alla grafia, il manoscritto si può datare al XIII secolo.
- Il Libro dei Barcaioli, compilato nel Seicento, contiene una pagina miniata dalla quale è stata purtroppo ritagliata la scena centrale. Il registro presenta una copertina in cuoio con applicazioni in ottone conservatasi solo per una metà.
La Commissione (fig. 47) del doge Gerolamo Priuli al podestà di Lonigo Girolamo Badoer risale alla seconda metà del Cinquecento.
La copertina in cuoio ha impressi eleganti motivi floreali dorati e al centro il nome HIERONIMO BADUARIO. IL fronte-spizio miniato reca al centro il nome del doge Gerolamo Priolo, nella parte alta due putti alati che sorreggono la cornice ovale con il leone marciano e, in basso, lo stemma Badoer con il leone rampante sovrapposto alle bande trasversali dello scudo.
Un evento di grande portata è stato immortalato nella fotografia originale che ritrae la cerimonia di inaugurazione dell'acquedotto pubblico svoltasi il 2 febbraio 1908 nell'attuale piazza della Repubblica, dove al posto del monumento ai Caduti era stata posta provvisoriamente la vera da pozzo del Pilacorte.
Conte Camillo Valle, imprenditore e politico italiano. Nacque a Valdagno (Vicenza) nel 1867 e morì a Portogruaro nel 1931. Gestì le aziende agricole di famiglia e promosse ulteriori opere di prosciugamento nella bonifica delle paludi venete fondando la Federazione nazionale delle bonifiche, di cui è stato a lungo presidente.
Per oltre dieci anni consigliere comunale e sindaco di Portogruaro, di cui è stato anche podestà negli anni del regime, è stato eletto anche nei consigli di altri comuni della provincia di Venezia, in cui ha ricoperto la carica di consigliere. Partecipa alla prima guerra mondiale come tenente colonnello degli alpini. È stato presidente del Consorzio di Lugugnara, consigliere dell'Associazione nazionale fra i consorzi di bonifica e di irrigazione, direttore del Consorzio agrario cooperativo di Portogruaro, membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici, presidente della Federazione nazionale delle bonifiche.
Valentino Turchetto, nacque a Portogruaro nel 1906, si dedicò alla scultura e non mancò di volgere la sua attenzione anche all'arte del mosaico.
Le sue opere sono un po' ovunque a Portogruaro, di maggior spicco fra le più conosciute sono: